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DiAnnamaria Palumbo

RAPPORTO TRA MODELLI 231 E SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE

L’estensione del catalogo dei reati presupposto di illecito a carico delle persone giuridiche a settori dotati di particolare tecnicismo, quale quello ambientale o della sicurezza sui luoghi di lavoro, ha alimentato il dibattito sulle norme tecniche e sulla loro possibile interazione con i modelli organizzativi di prevenzione dei reati.

L’art. 25 undecies del D. Lgs. 231/2001, rubricato “Reati ambientali“, prevede l’elenco dei reati presupposto in relazione alla commissione dei quali è prevista la responsabilità dell’ente. I reati ambientali presentano diverse peculiarità se confrontati con gli altri reati presupposto.

In particolare, si tratta in gran parte di reati:

  1. cd. di condotta, consistenti in violazioni formali o comunque connesse ad adempimenti di natura amministrativa;
  2. spesso previsti da norme penali in bianco;
  3. costruiti sul modello del reato di pericolo astratto;
  4. di natura prevalentemente contravvenzionale;
  5. suscettibili in larga misura di essere estinti mediante oblazione;
  6. apparentemente comuni ma sostanzialmente propri;
  7. permeati da un elevato tecnicismo.

La responsabilità dell’ente per reati ambientali si configura in maniera tutto sommato contenuta. Soltanto per le fattispecie più gravi sono previste sanzioni interdittive (comunque brevi). Per le altre fattispecie, che sono la maggior parte, la sanzione è soltanto pecuniaria.   Ciò determina, da un lato, una limitazione dei poteri cautelari, dall’altro, l’ampia possibilità di ricorrere al procedimento per decreto.

Numerosi sono i profili di criticità dell’art. 25 undecies rilevati dalla miglior dottrina.

 Ma la problematicità della scelta legislativa che qui si intende sottolineare riguarda la mancata indicazione dei criteri minimi di implementazione dei modelli organizzativi esimenti, come invece si è verificato in occasione dell’introduzione del nuovo testo unico sulla sicurezza del lavoro (D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81), il quale prevede altresì la presunzione di conformità legale (e dunque efficacia esimente) per i modelli di organizzazione aziendale conformi alle Linee guida UNI – INAIL o al British Standard OHSAS 18001:2007.

Attesa la complessità ed il tecnicismo della materia ambientale, ci si attendeva che il legislatore, sulla scia dell’esperienza dei sistemi di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro (SGLS), tenesse conto delle norme tecniche e degli standards internazionali adottati dai sistemi di gestione ambientale quale punto di riferimento per le imprese ed ausilio alle stesse nella costruzione dei modelli organizzativi.

La finalità delle norme tecniche è tuttavia diversa da quella di prevenzione dei reati propria del modello organizzativo, curandosi piuttosto di garantire la soddisfazione dell’utenza, l’efficienza produttiva o l’ottimizzazione dei risultati.

Considerate tali specifiche finalità, se ne deduce che le certificazioni ottenute in base al rispetto delle norme tecniche non possono considerarsi esaustive degli oneri derivanti dall’adozione di un modello organizzativo di prevenzione dei reati.

Tuttavia i modelli di organizzazione condividono con la normazione tecnica in materia di sistemi di gestione ambientale lo stesso approccio organizzativo per “processi e procedure”,  policy aziendale, pianificazione, implementazione e aggiornamento continuo. L’aspetto più significativo è però costituito dalla circostanza che la norma tecnica, codificando lo stato dell’arte in un determinato settore, potrà essere richiamata nel singolo caso concreto quale comportamento esigibile in una specifica attività.

Pertanto le norme tecniche ben si prestano ad essere utilizzate come parametri obiettivi ed esterni di valutazione in materie specialistiche sia dal giudice nel singolo caso concreto che dal legislatore in via generale ed astratta.

L’interazione tra norme tecniche e modello organizzativo si è peraltro già verificata con successo nella materia della sicurezza sul lavoro, come innanzi anticipato.

In materia ambientale, tuttavia, manca nel D. Lgs. 121/2011 una norma analoga all’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008 che indichi le linee guida da adottare per uniformare i modelli di organizzazione aziendale rendendoli presuntivamente idonei a prevenire la commissione di reati ambientali, né il decreto fa riferimento alcuno alle certificazioni ambientali ISO 14001 o Emas.

Ciò nonostante, secondo le istanze provenienti dalle associazioni di categoria e le osservazioni della migliore dottrina, è verosimile che i giudici investiti di simili questioni possano fare riferimento ai sistemi di certificazione ambientale, purché adeguati a prevenire i rischi di commissione di reati, in quanto idonei a rappresentare lo standard di diligenza esigibile secondo la migliore scienza ed esperienza del momento.

Un aspetto da considerare è che i reati previsti dal legislatore ambientale (D. Lgs. 152/2006 ed altre norme settoriali) spesso vengono contestati in concorso con altre fattispecie di reato, le quali a loro volta possono rientrare tra i reati presupposto di cui al D. Lgs. 231/2001. Si pensi ai reati associativi e di criminalità organizzata, ai reati di falso, truffa aggravata ai danni della P.A., corruzione, concussione, reati informatici, disastri, danneggiamenti, riciclaggio.

Spesso, peraltro, le problematiche ambientali possono esse stesse rappresentare il presupposto per la commissione di altri reati, come nel caso di inquinamento che possa determinare un pericolo per la salute dei lavoratori o il caso di “passività ambientali” che possono costituire l’oggetto di false comunicazioni sociali.

Ciò comporta la necessità di effettuare una “mappatura dei rischi” che sia trasversale nonché di adottare, anche nella parte speciale del modello 231 dedicata ai reati ambientali, controlli (preventivi e successivi), non strettamente limitati alla gestione degli aspetti ambientali.

Il modello 231 deve quindi essere realizzato “su misura” della singola impresa, deve cioè essere “personalizzato” (nel linguaggio recente “customizzato”) per ciascuna diversa organizzazione. Ciò è ancora più necessario per la prevenzione dei reati ambientali, posto che essi vengono commessi generalmente nell’attività operativa dell’impresa con modalità eterogenee. In sostanza, occorre procedere ad una mappatura dei rischi di commissione dei reati nella quale per ciascun reato o gruppo di reati si vada ad indagare:

  1. quale soggetto può realizzare o contribuire a realizzare l’illecito;
  2. in quale processo aziendale o attività;
  3. quale illecito;

e conseguentemente individuare le possibili modalità attuative di prevenzione.

Ciò significa che, una volta individuati i rischi, le funzioni ed i processi sui quali intervenire, le misure da adottare:

  •   non solo devono essere improntate a standard ricavabili dalle fonti istituzionali, dalla normativa di settore, da linee guida di associazioni di categoria, dalle migliori pratiche ambientali (Best Environmental Practices), dalle migliori tecniche disponibili nel settore di riferimento (Best Aviable Technique, BAT), dal benchmarking (standardizzazione);
  • ma devono anche essere realizzate tenendo conto della specifica realtà aziendale e delle peculiarità che la caratterizzano (customizzazione).

In altre parole, pur riconosciuta la validità e la imprescindibilità degli standards che possono essere presi a riferimento per misurare la propria organizzazione, non sembra utile l’adozione di un modello assoluto ossia efficace per tutte le realtà aziendali. Non è un caso, infatti, che l’European IPPC Bureau della Commissione europea menzioni, oltre ai sistemi di gestione ambientale conformi al regolamento EMAS o alla norma UNI EN ISO 14001, anche i sistemi di gestione ambientale non standardised”, senza che sia attribuito a questi ultimi un valore diverso.

Non è da sottovalutare, poi, il ruolo essenzialmente creativo che ha assunto la giurisprudenza nel settore ambientale e dal quale non può prescindersi nella implementazione o nell’aggiornamento dei compliance programs per la prevenzione dei reati ambientali.

Ciò non deve indurre a pensare che l’adozione di un modello di prevenzione, soprattutto nella materia ambientale, sia sostanzialmente inutile. I vantaggi dell’adozione del modello sono comunque molteplici: oltre alla prevenzione dei reati ed alla formalizzazione delle responsabilità, va segnalata la razionalizzazione dei processi aziendali e il miglioramento dell’immagine nei confronti di stakeholders e shareholders.

Alla luce della sopra esposte considerazioni, sembra potersi concludere che un sistema di gestione ambientale conforme al regolamento EMAS, alla norma UNI EN ISO 14001 o a questi equivalente, seppur non standardizzato, costituisce sicuramente un idoneo punto di partenza nella costruzione del modello organizzativo 231 per la prevenzione dei reati ambientali. Le misure che le aziende devono adottare per evitare di incorrere in responsabilità da reato devono, infatti, essere improntate alle migliori tecniche disponibili o alle migliori pratiche ambientali  e tali possono sicuramente considerarsi i sistemi di gestione ambientale.

Anche la giurisprudenza ha mostrato di apprezzare i percorsi di certificazione e  l’adozione delle più avanzate tecniche di organizzazione riconoscendo alla norma tecnica la prerogativa di codificare lo stato dell’arte in un determinato settore e dunque il comportamento esigibile in una specifica attività, con immediati riflessi in tema di integrazione del precetto o di esclusione o graduazione dell’elemento soggettivo colposo.

Ciò che si rende necessario, tuttavia, è il rafforzamento di quegli elementi costitutivi del sistema di gestione ambientale che non sono in grado, di per sé soli, di soddisfare le richieste del D. Lgs. 231/2001, in un’ottica che comunque valorizzi le procedure e le prassi già esistenti in modo da evitare lo spreco di risorse e favorire l’ottimizzazione delle attività.

Può così concludersi che i sistemi di gestione ambientale determinano il progresso dei modelli organizzativi di prevenzione dei reati.

Lieti di averti dato qualche informazione generale, rimaniamo a disposizione per l’analisi del tuo caso!

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DiAnnamaria Palumbo

I SISTEMI DI GESTIONE COME MIGLIORI TECNICHE DISPONIBILI O BEST PRACTICES – BASE DEL MODELLO 231

Come già anticipato, pur non potendo il Modello Organizzativo 231 esaurirsi in esso, un sistema di gestione ambientale conforme al regolamento EMAS, alla norma UNI EN ISO 14001 o a questi equivalente costituisce sicuramente un rilevante elemento di facilitazione nella costruzione dei compliance programs per la prevenzione dei reati ambientali.

Ciò si rivela opportuno anche al fine valorizzare le procedure e le prassi già esistenti procedendo direttamente alla integrazione delle stesse nel modello, evitando così la proliferazione dei modelli organizzativi e conseguentemente i rischi legati alla coesistenza di sistemi, quali lo spreco di risorse e  l’inefficacia dei controlli (“troppi controlli, nessun controllo”).

Le misure da adottare, inoltre, devono essere improntate alle migliori tecniche disponibili o alle migliori pratiche ambientali (come richiesto dall’art. 5 comma 1, lettera l-ter del D. Lgs. 152/2006, conformemente alla disciplina europea) e tali possono essere sicuramente considerati i sistemi di gestione ambientale sopra descritti.

Si dovrà poi procedere all’analisi dei diversi elementi costitutivi di un sistema di gestione ambientale (sostanzialmente comuni a EMAS e ISO 14001, salve talune particolarità), evidenziando quali di essi siano già in grado di soddisfare le richieste del D. Lgs. 231/2001 e quali, invece, siano suscettibili di rafforzamento nella prospettiva dell’integrazione del Modello Organizzativo.

A comprova dell’utilità della integrazione dei sistemi di gestione ambientale nel modello 231 si possono ricordare le pronunce giurisprudenziali che hanno dato positiva rilevanza alle più avanzate tecniche di intervento e di organizzazione adottate nelle procedure aziendali. Tra le molte, si cita la sentenza (forse) più emblematica: “la certificazione ottenuta ed i documenti prodotti e/o acquisiti dal perito hanno dimostrato una sola cosa: di più non si poteva fare. Di più, dunque, non era corretto esigere” (Tribunale di Mondovì, 24 aprile 2001 n. 257).

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SISTEMA DI GESTIONE AMBIENTALE – APPROCCIO VOLONTARISTICO BASATO SU NORME

Un approccio alla gestione dell’impatto ambientale dell’ente è quello basato su Norme. Appartengono a questo gruppo tutte le norme della famiglia delle UNI EN ISO 14000. Tali  norme sono specifiche tecniche, standard e generiche, per i sistemi di gestione ambientale.

In quanto generali, esse possono essere applicate ad ogni tipo di organizzazione a prescindere dalla dimensione, produzione o categoria. La norma UNI EN ISO 14001:2004 è l’unica norma prescrittiva; le altre quattro (UNI EN ISO 14004; UNI EN ISO 19011; UNI ISO 14050; UNI EN ISO 14031 delle quali non ci occupiamo in questa sede) costituiscono linee guida.

La norma UNI EN ISO 14001 nasce dalla norma inglese BS 7750 che descrive i requisiti relativi al sistema per la gestione dell’ambiente. Secondo la norma in questione (ma così avviene anche per il Regolamento Emas con il quale presenta numerosi punti di contatto), il sistema di gestione ambientale è uno strumento che dovrebbe consentire ad un’organizzazione di mantenere un miglioramento continuo delle proprie prestazioni ambientali attraverso un processo dinamico e ciclico (cd. ciclo di Deming o modello del miglioramento continuo).

In particolare, lo schema metodologico proposto si compone delle seguenti fasi che si ripetono continuamente:

  1. Analisi ambientale iniziale: la norma, pur non richiedendo in modo esplicito l’esecuzione di un’analisi preliminare (come invece richiede il regolamento Emas), offre le indicazioni sulla possibilità di effettuare tale analisi iniziale senza tuttavia che sia richiesta la redazione e pubblicazione della dichiarazione ambientale. L’importanza di tale analisi ambientale consente di individuare le coordinate del sistema di gestione dalle quali partire per la fase di pianificazione.
  2. Politica ambientale: l’alta direzione deve definire politica ambientale dell’organizzazione appropriata alla natura, alla dimensione ed agli impatti ambientali dell’attività, dei prodotti e dei servizi e che includa un impegno al miglioramento continuo come espresso dalla norma tecnica. 
  3. Pianificazione: l’organizzazione deve individuare gli aspetti ambientali significativi della propria attività, dei prodotti e dei servizi, assegnare loro una priorità di intervento e gestire gli stessi in funzione della loro specificità e degli obiettivi ambientali fissati nella politica ambientale. A seguito dello studio strutturale delle attività dell’azienda, vengono individuate le interazioni tra le diverse attività (o sottosistemi). La riduzione degli effetti ambientali richiede di analizzare dette interazioni sotto i profili qualitativi, quantitativo e di efficienza.

L’organizzazione deve pianificare una procedura di monitoraggio delle prescrizioni legali e volontarie alle quali è sottoposta, nonché stabilire e mantenere obiettivi e traguardi coerenti con la politica ambientale. A tal fine la stessa deve predisporre adeguati programmi ambientali che descrivano le operazioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi.

  • Attuazione e funzionamento: l’alta direzione deve fornire le risorse necessarie (umane, strumentali, finanziarie) per attuare e controllare il sistema di gestione ambientale e formalizzare (o “segregare”)  le responsabilità dei vari attori nel sistema. L’organizzazione deve attivare procedure di formazione (di base, tecnica e specifica a seconda delle mansioni ricoperte) ed addestramento del personale; predisporre procedimenti di comunicazione interna ed esterna riguardante gli aspetti ambientali significativi e registrare ogni decisione in merito; procedere ad adeguata documentazione del sistema di gestione ambientale nonché assicurare il controllo di tale documentazione. L’organizzazione deve inoltre predisporre un idoneo controllo operativo nonché stabilire e mantenere attive procedure di preparazione e risposta alle emergenze.
  • Controlli ed azioni correttive: l’organizzazione deve prevedere procedure documentate di controllo e misura delle caratteristiche delle attività di impatto ambientale, nonché di registrazione di tutte le informazione ottenute dai campionamenti ad analisi; procedere a valutazione periodica della conformità alle norme ed ai regolamenti attuativi, definire un programma di audit interno al fine di verificare che il sistema di gestione ambientale sia correttamente applicato.
  • Riesame della direzione: l’organizzazione deve riesaminare il sistema di gestione ambientale ad intervalli di tempo predeterminati per assicurarsi che il sistema sia adeguato ed efficace o modificarlo se necessario. In ogni caso il riesame comporta la redazione di un piano di miglioramento e di un rapporto.

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SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE – APPROCCIO VOLONTARISTICO BASATO SU LEGGI

Un approccio alla gestione dell’impatto ambientale dell’ente è quello basato su leggi. Appartiene a questo gruppo il regolamento EMAS sull’adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema comunitario di eco-gestione e audit.

In particolare, l’organizzazione che intende aderire al Regolamento EMAS è tenuta a svolgere i seguenti adempimenti per poter registrare il proprio sito:

  1. analisi ambientale iniziale (AAI), sì da stabilire la posizione iniziale dell’organizzazione rispetto alle condizioni ambientali in modo da determinare quali situazioni operative hanno o possono avere impatti ambientali significativi (diretti ed indiretti) e su quali sia giustificabile un impegno in termini di obiettivi e di programma ambientale;
  2. individuazione della propria politica ambientale e pertanto degli obiettivi e principi generali di azione rispetto all’ambiente: in particolare, l’organizzazione deve formalizzare l’impegno da parte dell’alta direzione aziendale al miglioramento continuo delle prestazioni ambientali, alla conformità con la normativa ambientale ed al rispetto di eventuali accordi sottoscritti. La politica ambientale deve essere esplicitata in un documento (generalmente sottoscritto dall’Amministratore Delegato o dal Direttore Generale) e costituisce il riferimento della certificazione del Sistema di Gestione Ambientale;
  3. pianificazione ossia elaborazione del programma ambientale (o sistema di gestione ambientale) che contenga una descrizione delle misure adottate per il conseguimento degli obiettivi definiti dal vertice aziendale. Il programma deve specificare le responsabilità, i mezzi, le procedure operative, le esigenze di formazione, i provvedimenti di monitoraggio e controllo, i sistemi di comunicazione;
  4. implementazione ed attuazione del sistema di gestione ambientale;
  5. verifica, sorveglianza e misurazione: l’organizzazione deve redigere, attuare e mantenere una procedura che consenta di sorvegliare e misurare regolarmente i parametri significativi, svolgendo così attività di riesame e valutazione al fine di assicurare il rispetto delle prescrizioni legali; deve altresì stabilire, attuare e mantenere attiva una procedura per trattare i casi riscontrati e potenziali di non conformità ai requisiti EMAS mediante azioni correttive e preventive. L’organizzazione deve altresì allestire un sistema di registrazioni necessario a dimostrare l’osservanza dei requisiti;
  6. auditing ambientale interno ossia valutazione sistematica e periodica, documentata e obiettiva delle prestazioni ambientali dell’organizzazione;
  7. riesame della direzione: l’alta direzione deve riesaminare il sistema di gestione ad intervalli regolari per garantirne l’adeguatezza e l’efficacia;
  8. redazione della Dichiarazione ambientale rivolta al pubblico e che lo informi sulla storia del sito, sulla politica ambientale, sulle attività dell’organizzazione, sull’analisi ambientale effettuata sul sito, ed altri aspetti ambientali rilevanti. La dichiarazione deve avere un contenuto minimo che specifichi, tra gli altri aspetti, gli indicatori chiave di prestazione nei settori fondamentali (efficienza energetica, efficienza dei materiali, acqua, rifiuti, biodiversità, emissioni). La dichiarazione ambientale viene così sottoposta a validazione da parte di verificatori accreditati ed inviata all’Organismo competente il quale, tra le altre cose, provvede all’iscrizione del sito nel registro europeo dei siti conformi al regolamento CEE ed autorizza la pubblicazione della dichiarazione ambientale validata e l’utilizzo del logo EMAS.

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LE NORME VOLONTARIE IN CAMPO AMBIENTALE

In tema di responsabilità sociale d’impresa la Comunità internazionale ha spesso fatto ricorso a strumenti non obbligatori quali raccomandazioni, linee guida, codici di condotta e patti a valenza ambientale.

Si tratta di tipici strumenti di soft law, i quali si fondano sulla spontanea adesione alle prescrizioni suggerite, in mancanza spesso di prescrizioni normative (e perciò vincolanti) in tal senso.

L’inadeguatezza delle fonti internazionali a regolare tempestivamente ed efficacemente i fenomeni internazionali, soprattutto laddove connotati da particolare tecnicismo, ha favorito la progressiva proliferazione di tali strumenti di natura non giuridica e non vincolante. Si è passati così da un approccio di tipo command and control, in cui il legislatore stabilisce le regole e ne sanziona il mancato rispetto, ad un approccio in cui sono le stesse aziende a vincolarsi a prescrizioni volontarie, anche e soprattutto in vista di certificazioni ambientali da esibire a stakeholders e shareholders.

Anche nel settore che ci occupa esistono, oltre a prescrizioni di leggi obbligatorie, norme volontarie pubblicate a cura di organismi di standardizzazione nazionali (per Italia l’UNI), europei (CEN) ed internazionali (ISO) nonché i regolamenti dell’Unione Europea.

Tra queste norme volontarie, i documenti di riferimento sono:

  • il Regolamento EMAS, modificato con il regolamento  n. 761/2001 (cd. Regolamento Emas II), a sua volta abrogato ed aggiornato nel Reg. 1221/2009 (cd. Regolamento EMAS III);
  • la Norma UNI EN ISO 14001 nella versione del 2004 o nella nuova versione a partire da settembre 2015.

Esistono, poi, tutta una serie di altri regolamenti “satellite” che definiscono ancora più in dettaglio come devono essere applicati e gestiti i sistemi di gestione ambientale, dei quali non ci si occupa in questa sede.

I documenti di riferimento possono così essere divisi in due gruppi corrispondenti ai diversi approcci al tema della gestione ambientale:

a)     approccio volontaristico basato su leggi;

b)     approccio volontaristico basato su Norme;

Si può, infine, menzionare un terzo approccio alla gestione dell’impatto ambientale dell’ente che esula da un approccio standardizzato ma che si caratterizza per essere altrettanto efficace se correttamente strutturato ed attuato e che può essere definito approccio volontaristico “non standardised”.

Ciò che conta – precisa l’European IPPC Bureau – è che il sistema di gestione ambientale, standardizzato o no, contenga i seguenti elementi: coinvolgimento degli amministratori; definizionie della politica ambientale dell’impianto; individuazione e pianificazione degli obiettivi; attuazione ed esecuzione delle procedure; azioni correttive; revisione del modello da parte degli amministratori; preparazione periodica di un rapporto ambientale; validazione da parte di un organo di certificazione; valutazione dell’impatto ambientale derivante dall’eventuale chiusura dell’impianto; sviluppo di nuove tecnologie; confronto con valori di riferimento per settore, territorio, matrici ambientali.

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MODELLO 231 IN MATERIA AMBIENTALE

Il modello 231 deve essere realizzato “su misura” della singola impresa, deve cioè essere “personalizzato” (nel linguaggio recente “customizzato”) per ciascuna diversa organizzazione. Ciò è ancora più necessario per la prevenzione dei reati ambientali, posto che essi vengono commessi generalmente nell’attività operativa dell’impresa con modalità eterogenee.

In sostanza, occorre procedere ad una mappatura dei rischi di commissione dei reati nella quale per ciascun reato o gruppo di reati si vada ad indagare:

  1. quale soggetto può realizzare o contribuire a realizzare l’illecito;
  2. in quale processo aziendale o attività;
  3. quale illecito;

e conseguentemente individuare le possibili modalità attuative di prevenzione.

Ciò significa che, una volta individuati i rischi, le funzioni ed i processi sui quali intervenire, le misure da adottare:

  •   non solo devono essere improntate a standard ricavabili dalle fonti istituzionali, dalla normativa di settore, da linee guida di associazioni di categoria, dalle migliori pratiche ambientali (Best Environmental Practices), dalle migliori tecniche disponibili nel settore di riferimento (Best Aviable Technique, BAT), dal benchmarking (standardizzazione);
  • ma devono anche essere realizzate tenendo conto della specifica realtà aziendale e delle peculiarità che la caratterizzano (customizzazione).

In altre parole, pur riconosciuta la validità e la imprescindibilità degli standards che possono essere presi a riferimento per misurare la propria organizzazione, non sembra utile (quanto piuttosto velleitario) l’adozione di un modello assoluto ossia efficace per tutte le realtà aziendali.

L’European IPPC Bureau della Commissione europea infatti menziona, oltre ai sistemi di gestione ambientale conformi al regolamento EMAS o alla norma UNI EN ISO 14001, anche i sistemi di gestione ambientale “non standardised”, senza che sia attribuito a questi ultimi un valore diverso.

Non è da sottovalutare, poi, il ruolo essenzialmente creativo che ha assunto la giurisprudenza nel settore ambientale e dal quale non può prescindersi nella implementazione o nell’aggiornamento dei compliance programs per la prevenzione dei reati ambientali. Sino ad oggi la magistratura ha infatti adoperato criteri severissimi nella valutazione dei modelli adottati.

Ciò non deve indurre a pensare che l’adozione di un modello di prevenzione, soprattutto nella materia ambientale, sia sostanzialmente inutile. I vantaggi dell’adozione del modello sono comunque molteplici: oltre alla prevenzione dei reati ed alla formalizzazione delle responsabilità, va segnalata la razionalizzazione dei processi aziendali e il miglioramento dell’immagine nei confronti di stakeholders e shareholders.

Alla luce di tali considerazioni, è evidente che i sistemi di gestione ambientale adottati conformemente al regolamento EMAS, alla norma UNI EN ISO 14001 o ad altri schemi volontari costituiscano un rilevante elemento di facilitazione nell’adozione del compliance program.

Tuttavia, sempre alla luce delle sopra esposte considerazioni, ciò non significa che il modello 231 per la prevenzione dei reati ambientali possa esaurirsi in un sistema di gestione ambientale coincidendo con esso.

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RESPONSABILITA’ DELL’ENTE PER REATI AMBIENTALI

La responsabilità dell’ente per reati ambientali si configura in maniera tutto sommato contenuta. Soltanto per le fattispecie più gravi sono previste sanzioni interdittive (comunque brevi). Per le altre fattispecie, che sono la maggior parte, la sanzione è soltanto pecuniaria.

Ciò determina, da un lato, una limitazione dei poteri cautelari, dall’altro, l’ampia possibilità di ricorrere al procedimento per decreto.

Tuttavia, ulteriore aspetto da considerare è che i reati previsti dal legislatore ambientale spesso vengono contestati in concorso con altre fattispecie di reato, le quali a loro volta possono rientrare tra i reati presupposto di cui al D. Lgs. 231/2001. Si pensi ai reati associativi e di criminalità organizzata, ai reati di falso, truffa aggravata ai danni della P.A., corruzione, concussione, reati informatici, disastri, danneggiamenti, riciclaggio.

Spesso, peraltro, le problematiche ambientali possono esse stesse rappresentare il presupposto per la commissione di altri reati, come nel caso di inquinamento che possa determinare un pericolo per la salute dei lavoratori o il caso di “passività ambientali” che possono costituire l’oggetto di false comunicazioni sociali.

Ciò comporta la necessità di effettuare una “mappatura dei rischi” che sia trasversale nonché di adottare, anche nella parte speciale del modello 231 dedicata ai reati ambientali, controlli (preventivi e successivi), non strettamente limitati alla gestione degli aspetti ambientali.

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REATI AMBIENTALI – TRATTI COMUNI E TRATTI DIFFERENZIALI RISPETTO ALLE ALTRE FATTISPECIE DI CUI AL D. LGS. 231/2001

I reati ambientali presentano diverse peculiarità se confrontati con gli altri reati presupposto. Prima di analizzare i tratti specifici occorre, tuttavia, segnalare i numerosi tratti comuni con le altre fattispecie di cui al D. Lgs. 231/2001.  

Tratti comuni a tutti i reati presupposto sono: la centralità del principio di effettività, la disciplina della delega di funzioni, le norme tecniche e la loro rilevanza nell’accertamento dell’elemento soggettivo della colpa, la configurabilità di un interesse o vantaggio dell’ente rispetto alla commissione del reato presupposto, la necessità – quale controprova dell’idoneità del modello – di misure che possano essere eluse solo fraudolentemente (e la conseguente indagine sulla compatibilità di tali misure con la natura colposa dei reati), la possibile responsabilità penale dei membri dell’organismo di vigilanza per comportamento omissivo.

Tratti specifici delle fattispecie di cui all’art. 25-undecies del D. Lgs. n. 231/2001 e dei reati ambientali in generale sono invece da individuare tra i seguenti.

In particolare, si tratta in gran parte di reati:

  1. cd. di condotta, consistenti in violazioni formali o comunque connesse ad adempimenti di natura amministrativa;
  2. spesso previsti da norme penali in bianco;
  3. costruiti sul modello del reato di pericolo astratto;
  4. di natura prevalentemente contravvenzionale;
  5. suscettibili in larga misura di essere estinti mediante oblazione;
  6. apparentemente comuni ma sostanzialmente propri;
  7. permeati da un elevato tecnicismo.

Lieti di averti dato qualche informazione generale, rimaniamo a disposizione per l’analisi del tuo caso!

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SERVIZI IN MATERIA DI REAL ESTATE

Lo Studio offre i seguenti servizi in materia di real estate:

  • Compliance and Risk Management
  • Urbanistica e Edilizia
  • Fiscalità Immobiliare e Procedure Esecutive
  • Assistenza Aste Immobiliari 
  • Due Diligence Tecnica e Ambientale
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SERVIZI IN MATERIA TRIBUTARIA

Lo studio offre i seguenti servizi in materia tributaria:

  • Consulenza ed assistenza in materia di diritto tributario, fiscalità delle imprese e delle società, fiscalità immobiliare;
  • Consulenza ed assistenza in materia di crisi d’impresa, procedure concorsuali e crisi da sovra indebitamento.
  • Assistenza amministrativa e Contenzioso tributario.
  • Assistenza presso le Agenzie fiscali (Entrate, Territorio, Dogane): interpello ordinario e antielusivo, accertamento con adesione, transazione fiscale, rateizzazione dei  ruoli, accordi.