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DiAnnamaria Palumbo

ACCERTAMENTI ESECUTIVI

Il DL 78/2010 ha attribuito efficacia esecutiva agli avvisi di accertamento. Pertanto, una volta notificato l’ati, il contribuente deve versare le somme senza attendere la cartella di pagamento.

 La nuova procedura si applica agli avvisi di accertamento emessi dall’AE relativi a: imposte dirette (IRPEF, IRES), IRAP, IVA, ritenute (sia a titolo di acconto che d’imposta), imposte sostitutive, nonché ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni.

 L’avviso di accertamento diventa esecutivo decorso il termine utile per la proposizione del ricorso ossia 60 giorni dalla notificazione dell’atto.

Decorsi ulteriori 30 giorni la riscossione delle somme richieste è affidata agli agenti della riscossione per l’esecuzione forzata, senza che si proceda alla notifica della cartella di pagamento.

I crediti vengono affidati mediante flussi telematici. I flussi di carico sono equiparati alle iscrizioni a ruolo.

L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di 180 giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione. L’agente della riscossione, al momento dell’affidamento, deve darne notizia al contribuenti anche mediante raccomandata semplice o posta elettronica, salvo il caso di fondato pericolo per la riscossione.

Il contribuente ha la possibilità di chiedere la sospensione dell’atto in via amministrativa o in via giudiziale.

  La riscossione dunque avviene secondo le seguenti fasi:

  • avviso di accertamento;
  • affidamento del credito all’Agente della riscossione;
  • eventuale intimazione ad adempiere;
  • pignoramento.

 In caso di proposizione del ricorso, rimangono ferme le disposizioni sulla riscossione frazionata, salvo il caso di fondato pericolo per la riscossione.

  Pertanto:

  • ove il contribuente non presenti ricorso, occorre versare le somme entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento;
  • ove il contribuente presenti ricorso, occorre il versamento a titolo di imposta:
    • di un terzo degli importi dovuti a titolo di imposta, ai sensi dell’art. 15 del DPR 602/73;
    • dei restanti due terzi, dopo la sentenza di primo grado sfavorevole al contribuente (art. 68 del D. Lgs. 546/92);
    • del residuo, dopo la sentenza di secondo grado sfavorevole al contribuente (art. 68 del D. Lgs. 546/92)
  • quanto alle sanzioni, sempre nel caso di proposizione del ricorso (art. 19 D. Lgs 472/97 e art. 68 del D. Lgs. 546/92:
    • sino alla sentenza di primo grado non bisogna versare alcun importo;
    • dopo la sentenza della CTP che rigetta il ricorso, occorre versare le somme nella misura di due terzi;
    • dopo la sentenza della CTR sfavorevole al contribuente, occorre versare il residuo.

Accertamenti sull’abuso del diritto (art. 10-bis , L. 212/2000)

 In caso di accertamenti eseguiti sulla base dell’abuso del diritto, le somme sia a titolo di sanzione sia a titolo di imposta, non possono essere riscosse sino alla sentenza di primo grado sfavorevole al contribuente.

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DiAnnamaria Palumbo

AVVISO DI ACCERTAMENTO – MOTIVAZIONE

La motivazione costituisce un essenziale strumento di garanzia del diritto di difesa in quanto solo in presenza di una motivazione esaustiva il contribuente può vagliare l’opportunità di presentare ricorso.

In particolare, l’avviso di accertamento deve essere motivato:

  • in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato
  • con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie;
  • con indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici;
  • esplicitando le ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.

Le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono pertanto i confini del giudizio.

Il ricorrente, infatti, si può difendere sollevando eccezioni in ordine a quanto indicato nella motivazione.

Di conseguenza, l’Ufficio nel corso del giudizio non può integrare o modificare i presupposti della pretesa.

La Cassazione (20551/2013) ha affermato che l’obbligo di motivazione degli atti tributari, previsto dallo Statuto, può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri fatti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale.

Motivazione e tipologie di accertamento

A ciascuna tipologia di accertamento corrisponde una diversa tipologia di motivazione.

  • Accertamento analitico: la motivazione dovrà contenere le ragioni della presunta violazione di legge contestata per ogni recupero a tassazione.
  • Accertamento analitico- induttivo: la motivazione dovrà evidenziare il percorso logico-argomentativo in forza del quale ritiene la presunzione convincente.
  • Accertamento induttivo: devono essere rigorosamente descritte le ragioni legittimanti tale tipo di rettifica (ad esempio, la prova dell’inattendibilità della contabilità). Occorre pertanto una specificazione di ogni presunzione assunta, in modo da rendere possibile la difesa del contribuente. E’ necessario infatti verificare  che la determinazione del reddito su base extra-contabile non sia sfociata in arbitrarietà.

In conclusione, l’avviso di accertamento è espressione di un potere autoritativo. Ciò comporta che, se esso non è impugnato, la maggiore pretesa avanzata non è più contestabile.

L’avviso di accertamento pertanto diviene definitivo per:

decorrenza del termine per proporre ricorso (60 giorni dalla notificazione dell’atto, ferma restando la sospensione feriale dei termini) (art. 21 D. Lgs. 546/92);

sentenza di rigetto del ricorso passata in giudicato.

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AVVISO DI ACCERTAMENTO

L’avviso di accertamento è l’atto conclusivo del procedimento di verifica o di controllo presso l’Ufficio.

A partire dagli accertamenti emessi dall’1.10.2011 e con riferimento alle imposte sui redditi, all’IVA e all’IRAP, l’avviso di accertamento ha efficacia esecutiva.

Il procedimento di verifica ovvero di controllo presso l’Ufficio sfocia pertanto in un atto denominato “avviso di accertamento”. L’attività di accertamento si articola in 4 fasi principali:

  1. fase di iniziativa: selezione dei soggetti da sottoporre a controllo e acquisizione degli elementi fiscalmente rilevanti;
  2. fase istruttoria: selezione dei dati e degli elementi su cui l’accertamento deve fondarsi;
  3. fase decisoria: individuazione del contenuto dell’atto;
  4. fase integrativa dell’efficacia: notifica dell’atto.

Il potere di accertamento è sottoposto ad una serie di regole, il cui mancato rispetto conduce all’illegittimità dell’atto.

L’avviso di accertamento si compone di due parti:

  • il dispositivo;
  • la motivazione;

A pena di nullità esso deve contenere:

  • indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati;
  • l’indicazione delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti di imposta;
  • i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato.

L’accertamento contiene inoltre l’intimazione ad adempiere all’obbligo di versamento delle somme entro il termine per la presentazione del ricorso.

Indicazioni previste dallo Statuto dei diritti del contribuente
Lo Statuto dei diritti del contribuente (art. 7, L.n. 212/2000) prevede che gli atti dell’Amministrazione finanziaria debbano tassativamente indicare anche:

  • l’Ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni in merito all’atto notificato e il responsabile del procedimento;
  • l’organo o l’autorità amministrativa presso il quale è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto;
  • le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere.

Violazione degli obblighi di indicazione
L’art. 7 non indica le conseguenze relative all’omissione degli obblighi di indicazione.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che tali violazioni non comportino la nullità dell’atto, in quanto non previsto dal legislatore.

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DiAnnamaria Palumbo

DIRIGENTI

Il datore di lavoro che abbia bisogno di inserire in azienda una figura professionale dotata di notevole autonomia ed in grado di orientare il percorso dell’azienda stipula un contratto di lavoro con il dirigente.

Il rapporto di lavoro con il dirigente è caratterizzato da un vincolo fiduciario particolarmente inteso e si sottrae all’ambito di applicazione di una serie di norme poste a tutela dei lavoratori (contratti a tempo determinato, orario di lavoro, recesso).

Gli elementi qualificanti il rapporto dirigenziale sono:

  • autonomia e discrezionalità delle decisioni (Cass. 17344/2004)
  • attenuazione del vincolo gerarchico (Cass. 5474/2012)
  • ampiezza di funzioni e complessità di mansioni (Cass. 12860/1998)
  • capacità di imprimere un indirizzo al governo della società (Cass. 10550/2010)
  • particolare forza sul mercato (Cass. 13191/2003)
  • qualificazione professionale (Cass. 12860/1998).

I dirigenti rappresentano la categoria più elevata di lavoratori subordinati tra quelle previste dal codice civile.

Art. 2095 – Categorie di prestatori di lavoro.

I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegato e operai.

Le leggi speciali, in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell’impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie”.

Accanto ad una nozione legale (art. 2095 c.c.) vi sarà pertanto una definizione contrattuale (derivante dai vari CCNL).

Il codice civile non chiarisce, infatti, i requisiti e le caratteristiche dei dirigenti e pertanto, al fine di determinare gli elementi che distinguono la categoria dirigenziale dalle alle categorie di dipendenti, sarà necessario fare riferimento alla contrattazione collettiva ed alla giurisprudenza.

In giurisprudenza, ad una prima interpretazione – mai realmente abbandonata – volta a definire il dirigente come l’alter ego dell’imprenditore (pur senza possedere un potere di rappresentanza esterna), si è affiancata una lettura meno riduttiva e che comprende anche coloro che, pur non facendo parte del top menagement, svolgano attività lavorativa mediante preposizione all’azienda o ad una sua articolazione autonoma, con alta professionalità, elevato grado di autonomia, discrezionalità valutativa e operativa, potere decisionale, elevata ampiezza delle funzioni.

Anche la contrattazione collettiva si è espressa in senso di apertura, prevedendo anche l’istituzione di gradi della dirigenza (i c.d. dirigenti apicali, mini – dirigenti o dirigenti minori) con esclusione di forme di dipendenza gerarchica fra dirigenti. E’ preservata, in ogni caso, la funzione di coordinamento.

Per la distinzione con la figura dello pseudo-dirigente, si rinvia a questo post.

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PSEUDO-DIRIGENTI

Dalla figura del dirigente deve essere distinta della dello pseudo-dirigente o impiegato con funzioni direttive.

Quest’ultimo è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e svolge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità.

L’inquadramento dirigenziale è talvolta riconosciuto dal datore di lavoro con finalità premiali rispetto alla carriera svolta o quale riconoscimento per particolari meriti. L’attribuzione meramente convenzionale della qualifica non può però comportare l’automatica e totale applicazione della normativa sul rapporto dirigenziale.

La questione si pone, in particolare, in materia di risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro. Nei confronti dello pseudo-dirigente non trova infatti applicazione il regime di libera recedibilità previsto per il dirigente, bensì la disciplina limitativa dei licenziamenti valida per le altre categorie di dipendenti (quadri, impiegati, operai).

L’accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni necessarie per l’inquadramento del lavoratore nell’una o nell’altra categoria costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito.

CASI

E’ stato ritenuto dirigente:

  • un dipendente che era stato direttore commerciale preposto ad una delle tre fondamentali aree in cui si articolava l’azienda, con elevata autonomia e professionalità e collocazione sullo stesso piano dei due titolari responsabili delle altre aree, restando peraltro soggetto a direttive ed a controllo sui risultati raggiunti (Cass. 12650/2003);
  • un ingegnere preposto a un’area organizzativa prevista da un piano aziendale che preponeva a ciascuna area un dirigente comunque subordinato al direttore operativo (Cass. 3981/2016);

Non è stato ritenuto dirigente:

  • un direttore commerciale di una compagnia di navigazione aerea che non aveva la responsabilità della gestione né la rappresentanza della società nei confronti dei terzi, e che aveva un potere di firma limitato alla richiesta di biglietti gratuiti o a tariffa scontata (Cass. 8064/2004);
  • un dipendente RAI incaricato di seguire il contenzioso insieme ad altri avvocati (Cass. 8650/2005).

Si rinvia a questo post per la distinzione dall’amministratore.

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DIRIGENTE E AMMINISTRATORE

Il dirigente non va confuso con l’amministratore (anche se a particolari condizioni le due qualifiche possono coesistere).
Il rapporto di amministrazione ha natura organica. Ciò significa che l’amministratore si identifica nella carica e quindi nella persona amministrata.
L’attività lavorativa dell’amministratore può essere inquadrata, poi, anche nella parasubordinazione (co.co.co.); mentre abbiamo visto che il dirigente si inquadra solo nel rapporto di lavoro subordinato.

Quando le qualifiche possono coesistere?
Per poter cumulare nello stesso soggetto la carica di amministratore e la qualifica di dirigente della stessa società devono ricorrere due condizioni:
1) il soggetto, in qualità di dirigente, deve svolgere un’attività lavorativa diversa da quella attinente alla carica sociale (Cass. 329/2002);
2) deve esserci una volontà imprenditoriale e assoggettamento ai poteri direttivi, di controllo e disciplinari dei sovraordinati organi della società (Cass. 1424/2012).

CASI
Non sono state ritenute cumulabili le cariche nei casi:

  • amministratore unico (Cass. 18144/2013);
  • amministratore delegato con poteri illimitati di ordinaria e straordinaria amministrazione (Cass. 22689/2018).
    Sono state ritenute cumulabili le cariche nei seguenti casi:
  • amministratore delegato con delega limitata a poteri di ordinaria amministrazione (Cass. 299/2001);
  • socio e amministratore di una società di capitali composta da due solo soci, entrambi amministratori, se esiste un concreto assoggettamento del socio-dirigente alle direttive e al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci (Cass. 7465/2002).

Si rinvia a questo post per la disciplina dell’assunzione.

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