Sull’autonomia del patto di non concorrenza rispetto al rapporto di lavoro, Cassazione civile, Sez. Lav. ord. 8 aprile 2025 n. 9256

DiAnnamaria Palumbo

Sull’autonomia del patto di non concorrenza rispetto al rapporto di lavoro, Cassazione civile, Sez. Lav. ord. 8 aprile 2025 n. 9256

La sentenza in esame si inserisce in un contesto giuridico complesso in materia di validità e congruità del patto di non concorrenza stipulato tra un datore di lavoro e un dipendente. La questione centrale riguarda la determinazione e l’adeguatezza del corrispettivo previsto per il vincolo di non concorrenza imposto al lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Premessa dei fatti

Il caso trae origine dal ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato nel 2015 dalla società (OMISSIS) s.p.a. contro il suo ex dipendente, C.D., un private banker. La società chiedeva l’inibizione dello svolgimento di attività concorrenziale da parte del lavoratore, oltre al risarcimento dei danni. Il patto di non concorrenza, stipulato nel 2014 e della durata di 20 mesi dalla cessazione del rapporto, prevedeva un corrispettivo di € 10.000 annui per tre anni, suddivisi in rate semestrali. Tuttavia, il Tribunale di Milano dichiarava nullo il patto, ritenendo il corrispettivo incongruo e indeterminabile, e ordinava la restituzione degli importi percepiti dal lavoratore.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano nel 2017, che ribadiva l’invalidità del patto per indeterminatezza e sproporzione del compenso rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore.

Intervento della Corte di Cassazione

Con ordinanza n. 33424/22, la Corte di Cassazione annullava la sentenza d’appello, rilevando contraddizioni nella motivazione e rinviando la causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione. In sede di rinvio, la Corte d’appello, pur rivedendo parte delle argomentazioni, ribadiva la nullità del patto, sottolineando l’inadeguatezza del compenso rispetto alla durata e all’estensione territoriale del vincolo imposto al lavoratore.

Nuovo ricorso per cassazione

La società proponeva nuovamente ricorso per cassazione, articolando quattro motivi principali:

  1. Violazione dell’art. 2125 c.c. e dell’art. 1346 c.c.: La ricorrente contestava l’obbligo di prevedere un minimo garantito nel patto di non concorrenza, sostenendo che il patto fosse autonomo rispetto al rapporto di lavoro e che l’obbligo di pagamento del compenso sussistesse indipendentemente dalla durata del rapporto.
  2. Nullità della sentenza per motivazione contraddittoria: Si denunciava il contrasto tra l’affermazione della congruità del corrispettivo e la rilevazione della sua incongruità in caso di cessazione anticipata del rapporto.
  3. Motivazione perplessa e apparente: La ricorrente evidenziava incongruenze nella valutazione del compenso pattuito, ritenendo che la durata del rapporto di lavoro non dovesse incidere sulla validità del patto.
  4. Omesso esame di fatti decisivi: Si lamentava l’omissione di considerare il pagamento del corrispettivo anche successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro e l’interruzione dei pagamenti per inadempimento del lavoratore.

La Corte di Cassazione, nella pronuncia n. 9256/2025, ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendo errata la valutazione della congruità del compenso effettuata dalla Corte d’appello. La Suprema Corte ha ribadito che la congruità del corrispettivo deve essere valutata ex ante, ovvero alla luce delle clausole pattuite al momento della stipula del patto, indipendentemente dagli eventi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Principi di diritto stabiliti

La Corte ha chiarito che:

  1. Il patto di non concorrenza ha una natura autonoma rispetto al contratto di lavoro, regolando i rapporti tra le parti dopo la cessazione del rapporto lavorativo.
  2. La congruità del corrispettivo deve essere valutata in relazione al sacrificio richiesto al lavoratore, tenendo conto della durata del patto e dell’estensione territoriale del vincolo.
  3. Eventuali sproporzioni o indeterminatezze del compenso devono essere valutate al momento della stipula del patto e non in base a eventi successivi.

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione per un nuovo esame, attenendosi ai principi sopra esposti. La decisione sottolinea l’importanza di una chiara definizione del compenso nel patto di non concorrenza e della sua adeguatezza rispetto agli obblighi imposti al lavoratore.

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