Licenziamento disciplinare intimato dal MAECI nei confronti di un collaboratore in Pakistan

DiAnnamaria Palumbo

Licenziamento disciplinare intimato dal MAECI nei confronti di un collaboratore in Pakistan

La Corte d’Appello di Roma ha recentemente affrontato un caso di licenziamento disciplinare intimato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) nei confronti di un collaboratore del Capo Missione presso l’ambasciata italiana in Pakistan. Originariamente, il Tribunale aveva annullato il licenziamento, stabilendo l’applicazione dell’art. 63, c. 2, del d.lgs. 165/2001 per determinare le conseguenze dell’invalido recesso. Tuttavia, la Corte d’Appello ha riformato la sentenza, limitandosi a modificare il quantum del risarcimento del danno e correggendo un errore interpretativo: il contratto di lavoro era soggetto alla legge locale pakistana e non a quella italiana.

Nonostante ciò, la Corte ha determinato che le tutele interne contro il licenziamento illegittimo, quali norme di ordine pubblico, si impongono anche su contratti soggetti a leggi estere. Applicando l’art. 18 della legge n. 300/1970, la Corte ha confermato l’ordine di reintegra del lavoratore e stabilito un risarcimento pari a 12 mensilità.

Il MAECI ha contestato la pronuncia in Cassazione, sollevando tre principali motivi di ricorso. In primo luogo, il Ministero ha evidenziato la necessità di accertare ufficialmente il contenuto della normativa pakistana, sostenendo che il ruolo delle parti fosse meramente sussidiario in tale accertamento. In secondo luogo, ha criticato la scelta della Corte di considerare la normativa pakistana in contrasto con l’ordine pubblico italiano, senza aver effettuato un accertamento completo della stessa. Infine, ha contestato l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sostenendo che l’espressione dell’ordine pubblico interno in materia di licenziamenti illegittimi risiedesse piuttosto nella legge n. 604/1966, che prevede una tutela risarcitoria obbligatoria e non reintegratoria.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del MAECI, chiarendo che il contratto di lavoro del collaboratore era soggetto alla disciplina locale pakistana ai sensi dell’art. 154 del d.P.R. n. 18/1967. Tuttavia, ha escluso che la normativa pakistana potesse regolare le conseguenze di un licenziamento illegittimo, poiché non prevedeva né la reintegrazione né un risarcimento adeguato, configurandosi così un contrasto con l’ordine pubblico italiano.

La Cassazione ha ribadito che i rapporti di lavoro con il MAECI, pur regolati da un sistema giuridico speciale, rientrano nel quadro del lavoro pubblico privatizzato. In caso di licenziamento illegittimo, tali rapporti sono soggetti alla normativa italiana, inclusa la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 della legge n. 300/1970. Inoltre, la Suprema Corte ha confermato la giurisdizione del giudice ordinario italiano nelle controversie riguardanti lavoratori assunti presso rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, sottolineando la prevalenza delle norme italiane in materia di licenziamenti illegittimi.

In conclusione, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Roma, ribadendo che i rapporti regolati dal d.P.R. n. 18/1967, pur soggetti alla legge locale per aspetti sostanziali, devono rispettare le normative italiane per quanto riguarda le conseguenze del licenziamento illegittimo. Tale orientamento rafforza il principio secondo cui le tutele italiane contro i licenziamenti illegittimi prevalgono in contesti di lavoro pubblico privatizzato, anche quando i contratti sono soggetti a leggi estere.

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