In caso di assunzione a tempo indeterminato, le parti possono prevedere l’obbligo di non recedere dal rapporto per un determinato periodo di tempo. E’ fatta salva l’ipotesi di una giusta causa di recesso ossia di una causa che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto (2119 c.c.)
Se l’obbligazione è inserita tra le clausole del contratto di assunzione, prende il nome di clausola di durata minima garantita. Se l’accordo interviene successivamente alla stipula del contratto di assunzione, prende il nome di patto di stabilità.
La clausola di durata minima garantita o il patto di stabilità possono essere previsti:
Si analizzano i primi due CASI.
Clausola/patto a favore del datore di lavoro
In tale ipotesi il dirigente si obbliga a non rassegnare le dimissioni per un periodo di tempo minimo. Si ritiene che in questo caso il datore di lavoro debba riconoscere al dipendente un corrispettivo.
La corrispettività va valutata alla luce del complesso delle reciproche obbligazioni.
La causa di tale impegno è l’interesse del datore di lavoro a fruire della prestazione del dirigente almeno per un tempo minimo, ad esempio in caso di avvio di nuova attività.
In caso di violazione della clausola di durata minima garantita o del patto di stabilità, il datore di lavoro potrà richiedere il risarcimento del danno. Allo scopo può essere prevista una clausola penale che quantifichi forfettariamente il danno commisurandolo ad un determinato numero di compensi.
E’ legittima la compensazione del TFR con i crediti del datore di lavoro.
Clausola/patto a favore del dirigente
In questa ipotesi è il datore di lavoro ad impegnarsi a non licenziare il dirigente per il periodo di tempo previsto dalle parti. Ciò può accadere, ad esempio, nel caso in cui il dirigente si sia dichiarato disponibile a dimettersi da un precedente rapporto di lavoro solo a fronte di determinate garanzie di durata minima del nuovo incarico.
Il recesso unilaterale del datore di lavoro, che non sia determinato da giusta causa ex art. 2119 c.c., è considerato illegittimo. In tal caso il datore di lavoro dovrà risarcire il danno oltre ad erogare l’indennità sostitutiva del preavviso.
La Cassazione ha peraltro stabilito che il risarcimento del danno può essere cumulato con l’indennità supplementare dovuta al dirigente in caso di licenziamento illegittimo come prevista dalla contrattazione collettiva (Cass. 2978/2017).
Il datore di lavoro pertanto dovrà pagare il risarcimento del danno, l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità supplementare per ingiustificato licenziamento.
Lieti di averti dato qualche informazione generale, rimaniamo a disposizione per l’analisi del tuo caso!
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Il rapporto di lavoro con il dirigente è un rapporto di lavoro subordinato. Pertanto il relativo contratto di lavoro segue le regole comuni di stipulazione.
Analizzeremo di seguito soltanto le clausole particolari che in genere vengono ad esso apposte, rinviando ad altro articolo per gli elementi peculiari del rapporto.
Le clausole particolari sono:
Di seguito le prime tre clausole più frequentemente inserite nel contratto di assunzione del dirigente, rinviando ad altro articolo per le successive.
Retribuzione variabile
In aggiunta alla retribuzione fissa prevista dal CCNL (c.d. TMGC, trattamento minimo complessivo di garanzia) è spesso riconosciuta ai dirigenti una retribuzione variabile al verificarsi di determinate condizioni.
Più frequentemente l’attribuzione del bonus è subordinata al raggiungimento di determinati obiettivi assegnati dal datore di lavoro. E’ possibile limitarsi a dare atto nella lettera di assunzione che il dirigente verrà ammesso a partecipare al sistema di incentivazione aziendale previsto per la categoria di appartenenza oppure indicarne già alcuni elementi.
Esempio:
“In aggiunta alla sua retribuzione fissa, potrà esserle riconosciuto un bonus al raggiungimento degli obiettivi che la nostra società le assegnerà ogni anno. L’importo del bonus potrà variare da un minimo dello 0% ad un massimo del 25% della retribuzione fissa annua lorda. Tale importo è calcolato in proporzione al raggiungimento di ogni singolo obiettivo (Mancato raggiungimento dell’obiettivo – premio 0%; 50% raggiungimento dell’obiettivo – premio 10%; 100% raggiungimento dell’obiettivo – premio 25%)”
Tale previsione non determina alcun vincolo a carico dell’azienda per gli anni successivi.
Patto di prova
Può essere previsto in forma scritta un periodo di prova della durata massima di sei mesi solo nel caso di dirigenti di nuova assunzione (non anche per il passaggio da impiegato a dirigente).
Nel caso di risoluzione del rapporto durante la prova al dirigente sono corrisposti i ratei di mensilità supplementari, l’indennità sostitutiva delle ferie maturate, il TFR, con esclusione del preavviso (CCNL Terziario).
Patto di stabilità
In caso di assunzione a tempo indeterminato, le parti possono prevedere l’obbligo di non recedere dal rapporto per un determinato periodo di tempo. E’ fatta salva l’ipotesi di una giusta causa di recesso ossia di una causa che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto (2119 c.c.)
In caso di violazione del patto di stabilità, la parte inadempiente è tenuta a risarcire all’altra i danni derivanti dall’inadempimento. Per approfondimenti si rinvia a questo articolo.
E’ legittima la compensazione del TFR con i crediti del datore di lavoro derivanti dalla penalità pattuita per il recesso anticipato dal patto di stabilità.
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Il rapporto di lavoro con il dirigente è un rapporto di lavoro subordinato. Pertanto il relativo contratto di lavoro segue le regole comuni di stipulazione.
Analizzeremo di seguito soltanto gli elementi peculiari, rinviando ad altro articolo per l’analisi delle clausole particolari.
I CCNL prevedono espressamente che la costituzione del rapporto avvenga per iscritto.
Il contratto di lavoro con il dirigente può essere stipulato sia a tempo indeterminato che a tempo determinato (temporary manager). In quest’ultima ipotesi le aziende possono usufruire di un trattamento contributivo agevolato. La durata del contratto non può superare cinque anni e, in ogni caso, il dirigente può dimettersi con preavviso decorsi tre anni. La proroga del contratto a termine è ammessa purché il rapporto di lavoro nella sua durata complessiva non superi i cinque anni.
I dirigenti assunti con contratto a termine sono computabili ai fini del raggiungimento dei limiti dimensionali richiesti per l’applicazione di qualsiasi disciplina legale o contrattuale per la quale rileva il numero dei dipendenti, salvo che sia diversamente disposto.
La prestazione del dirigente è insuscettibile di quantificazione oraria.
E’ controversa la possibilità di instaurare rapporti di lavoro a tempo parziale con i dirigenti (soprattutto se apicali), ciò in quanto l’inapplicabilità ai dirigenti della disciplina limitativa dell’orario di lavoro appare incompatibile con il lavoro part-time.
La giurisprudenza si è espressa in senso favorevole (Cass. 21253/2012).
Anche al dirigente spettano le ferie.
Il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto all’indennità sostitutiva a meno che non provi di non aver potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezioni ed obiettive (Cass. 23697/2017).
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A partire dall’1.10.2011, una volta notificato l’accertamento e decorsi i termini utili per pagare, l’Agenzia delle Entrate e della Riscossione può notificare direttamente il pignoramento.
L’agente della riscossione può avvalersi delle ordinarie misure cautelari a favore del proprio credito e pertanto può:
Se il pignoramento non è notificato decorso un anno dalla notifica dell’accertamento esecutivo, è necessario notificare l’intimazione ad adempiere (art. 50, DPR 602/73).
Ultimamente l’Agenzia delle Entrate notifica l’intimazione ad adempiere anche in seguito alla sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria in caso di soccombenza del contribuente.
In tal caso, in seguito alla decisione di primo grado sono pretesi i due terzi del dovuto o la diversa misura stabilita dal giudice sempre nel limite di due terzi.
Tuttavia l’atto di intimazione ad adempiere non prevede la possibilità di dilazionare le somme.
Pertanto, se il contribuente intende corrispondere le somme con un piano dilazionato, dovrà attendere che il credito sia trasferito all’agente della riscossione e chiedere a quest’ultimo la dilazione secondo le ordinarie regole per i ruoli.
Dovrà, in questo caso pagare i maggiori oneri legati all’aggio della riscossione ed agli interessi di mora, oltre agli interessi ordinariamente calcolati.
L’Agenzia delle Entrate e della Riscossione deve informare il contribuente dell’avvenuta “presa in carico” delle somme (ad eccezione del caso in cui sia ravvisabile il fondato pericolo per la riscossione).
La comunicazione avviene con raccomandata semplice o posta elettronica. Non si tratta pertanto di una vera e propria notifica.
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Se l’accertamento non diviene definitivo, l’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di 180 giorni decorrenti dall’affidamento in carico del credito agli agenti della riscossione.
La sospensione non opera se l’accertamento è divenuto definitivo o se l’agente della riscossione viene a conoscenza di elementi idonei a integrare il fondato pericolo di pregiudizio per la riscossione.
CASI
Sono considerate situazioni idonee ad integrare il fondato pericolo per la riscossione:
Non sono considerate situazioni idonee ad integrare il fondato pericolo per la riscossione:
La dimostrazione del fondato pericolo per la riscossione deve essere contenuta già nell’avviso di accertamento.
In breve, all’atto della ricezione dell’accertamento, il contribuente può presentare ricorso chiedendo contestualmente la sospensione dell’esecuzione.
Le somme, per l’intero o per un terzo, oltre interessi, devono essere versate entro il termine per la presentazione del ricorso (quindi entro 60 giorni, nella maggior parte dei casi). In assenza di pagamento entro tale termine, il dovuto sarà maggiorato dell’aggio.
E’ possibile chiedere la dilazione delle somme a determinate condizioni.
In caso di proposizione del ricorso, dalla notifica dell’accertamento l’esecuzione è sospesa per 270 giorni (60+30+180).
Quanto detto non opera per i provvedimenti di fermo e ipoteca, i quali possono essere adottati – in presenza dei presupposti di legge – decorsi 90 giorni dalla notifica dell’atto.
Entro tale termine, tuttavia, il giudice può aver già concesso la sospensione giudiziale richiesta con il ricorso.
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Lo studio offre i seguenti servizi in materia di lavoro:
Consulenza e assistenza in ogni fase del rapporto di lavoro: nella costituzione, in corso di svolgimento, nella fase di cessazione (licenziamento, dimissioni, risoluzione consensuale);
Assistenza e revisione di contratti di lavoro; Cessioni individuali dei rapporti di lavoro; Contributi, premi e imposte
Il DL 78/2010 ha attribuito efficacia esecutiva agli avvisi di accertamento. Pertanto, una volta notificato l’ati, il contribuente deve versare le somme senza attendere la cartella di pagamento.
La nuova procedura si applica agli avvisi di accertamento emessi dall’AE relativi a: imposte dirette (IRPEF, IRES), IRAP, IVA, ritenute (sia a titolo di acconto che d’imposta), imposte sostitutive, nonché ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni.
L’avviso di accertamento diventa esecutivo decorso il termine utile per la proposizione del ricorso ossia 60 giorni dalla notificazione dell’atto.
Decorsi ulteriori 30 giorni la riscossione delle somme richieste è affidata agli agenti della riscossione per l’esecuzione forzata, senza che si proceda alla notifica della cartella di pagamento.
I crediti vengono affidati mediante flussi telematici. I flussi di carico sono equiparati alle iscrizioni a ruolo.
L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di 180 giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione. L’agente della riscossione, al momento dell’affidamento, deve darne notizia al contribuenti anche mediante raccomandata semplice o posta elettronica, salvo il caso di fondato pericolo per la riscossione.
Il contribuente ha la possibilità di chiedere la sospensione dell’atto in via amministrativa o in via giudiziale.
La riscossione dunque avviene secondo le seguenti fasi:
In caso di proposizione del ricorso, rimangono ferme le disposizioni sulla riscossione frazionata, salvo il caso di fondato pericolo per la riscossione.
Pertanto:
Accertamenti sull’abuso del diritto (art. 10-bis , L. 212/2000)
In caso di accertamenti eseguiti sulla base dell’abuso del diritto, le somme sia a titolo di sanzione sia a titolo di imposta, non possono essere riscosse sino alla sentenza di primo grado sfavorevole al contribuente.
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La motivazione costituisce un essenziale strumento di garanzia del diritto di difesa in quanto solo in presenza di una motivazione esaustiva il contribuente può vagliare l’opportunità di presentare ricorso.
In particolare, l’avviso di accertamento deve essere motivato:
Le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono pertanto i confini del giudizio.
Il ricorrente, infatti, si può difendere sollevando eccezioni in ordine a quanto indicato nella motivazione.
Di conseguenza, l’Ufficio nel corso del giudizio non può integrare o modificare i presupposti della pretesa.
La Cassazione (20551/2013) ha affermato che l’obbligo di motivazione degli atti tributari, previsto dallo Statuto, può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri fatti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale.
Motivazione e tipologie di accertamento
A ciascuna tipologia di accertamento corrisponde una diversa tipologia di motivazione.
In conclusione, l’avviso di accertamento è espressione di un potere autoritativo. Ciò comporta che, se esso non è impugnato, la maggiore pretesa avanzata non è più contestabile.
L’avviso di accertamento pertanto diviene definitivo per:
– decorrenza del termine per proporre ricorso (60 giorni dalla notificazione dell’atto, ferma restando la sospensione feriale dei termini) (art. 21 D. Lgs. 546/92);
– sentenza di rigetto del ricorso passata in giudicato.
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